può essere acquistato con la prescrizione sovra un immobile spettante al demani privato dello Stato (1). Noi esamineremo piu innanzi se questo passaggio possa acquistarsi con la prescrizione. È stato ancor giudicato, in conformità del medesimo principio, che l'articolo 671 si applica tanto ai boschi dello Stato quanto a quelli dei privati (2). Avremo occasione di ritornare su queste disposizioni. 142. L'articolo 637 dice che i due fondi debbono appartenere a proprietarii diversi. É l'applicazione del vecchio adagio che nessuno può avere servitù sulla cosa propria. Il proprietario di due fondi può benissimo far servire uno di questi fondi ai bisogni dell'altro, ma quest'uso è l'esercizio del suo diritto di proprietà; è dunque l'esercizio della libertà e non di un diritto di servitù. Vedremo in appresso sotto quali condizioni da questa destinazione del padre di famiglia può nascere una servitù. 143. É necessario che i due fondi siano contigui? Vi sono leggi romane che, pur ammettendo della eccezioni alla regola, sembrerebbero esigere la contiguità. Duranton ha riprodotta questa dottrina (3). Le servitù, egli dice, sono costituite per l'utilità dei fondi; ora, perchè si possa raggiungere questo scopo, è mestieri che i fondi siano contigui. Dumoulin, al contrario, sosteneva che questa opinione fosse erronea (4), ed il suo parere fu implicitamente consacrato dai compilatori del codice civile. L'art. 637 nel progetto adottato dal Consiglio di Stato, diceva che i fondi dovevano essere vicini. Il Tribunato propose di sopprimere la parola vicini. « Possono esservi, esso diceva, fondi intermedii tra il fondo cui la servitù è dovuta e quello che la deve ». Si legge nella relazione fatta al Tribunato dall'Albisson, che « la condizione del vicinato non è talmente essenziale che sia indispensabile in una buona definizione » (5). Da ciò si deduce che la contiguità non è una condizione richiesta per la validità della servitù. Si concepisce, infatti, che un fondo non contiguo possa rendere un servigio ad un altro fondo. Due fondi non sono contigui quando sono separati da un fondo intermedio; ora, l'esistenza di questo fondo intermedio può non essere un ostacolo all'esercizio della servitù; tale sarebbe una via pubblica; ovvero l'ostacolo può essere soltanto parziale o temporaneo. Si vede che la questione è piuttosto di fatto che di diritto. Lo stesso è a dirsi del vicinato. In generale, (1) Sentenza di rigetto del 19 gennaio 1848 (DALLOZ. 1848, 1, 5). (2) Sentenza di Cassazione del 13 marzo 1850 (DALLOZ. 1850, 1, 89). Confronta il t. VII, dei miei Principii, n. 92. (3) Questa non è la teoria romana: i giureconsulti chiedono il vicinato, ma non la contiguità (ELVERS, Die Servitutenlehre, p. 166, § 18). (4) DURANTON, t. V, p. 492, n. 454. DUMOULIN, Tractatus de dividuis et individuis, parte 3.o, n. 359 (t. III, p. 252). (5) Osservazioni del Tribunato, n. 1 (LOCRÉ, t. IV, p. 173). Relazione d'ALBISSON, n. 3 (ibid., p. 185). i fondi debbono essere vicini perchè uno procuri un vantaggio all'altro. Posso io stipulare il diritto di attingere acqua ad una fontana, quando non ho fond in vicinanza di essa? La servitù mi sarebbe inutile; ora, le servitù non sono state stabilite che per l'utilità dei fondi. Tuttavia il Tribunato giustamente ha ritenuto che la vicinanza non dovesse considerarsi come una condizione essenziale alla costituzione delle servitù. Può infatti accadere che, per quanto i due fondi siano distanti l'uno dall'altro, l'onere imposto a questo procuri un'utilità a quello. Il diritto di attingere acqua, fosse anche ad una grande distanza, può essere di grande vantaggio, se ve ne sia difetto nelle vicinanze. Il legislatore ha ben tatto rimettendosi per questo riguardo alle parti interessate; esse si guarderanno bene dallo stipulare, cioè dal pagare diritti inutili. È per questo motivo che noi non insistiamo sopra questioni che si discutono soltanto nella scuola, ma che sono sconosciute alla pratica (1). 144. L'articolo 686 dice che la servitù deve essere costituita per un fondo, il che significa, secondo l'articolo 637, che un onere viene imposto ad un fondo per l'uso e l'utilità d'un altro fondo. É questo un carattere essenziale della servitù; se il legislatore ha ammesse simili restrizioni al diritto di proprietà, gli è in quanto procurano un vantaggio ad un altro fondo; l'uno è diminuito, l'altro è aumentato. E' il fondo dominante che deve acquistare questo miglioramento: non già che un fondo possa esercitare un diritto; ma occorre almeno che tutti quelli che occupano il fondo possano trar profitto della servitù. Così è d'un diritto di passaggio: tutti quelli che abitano la casa profittano necessariamente del diritto che lor permette di passare pel fondo vicino. Ma, dicono i giureconsulti romani, io non posso stipulare, a titolo di servitù reale, il diritto di passeggiare nel giardino di proprietà del vicino, ovvero di raccogliervi fiori o frutta (2), poichè questo diritto sarebbe posto in essere pel mio piacere personale e non pel vantaggio di un fondo e di quelli che lo abitano. Un simile diritto non potrebbe essere dunque stabilito che a titolo di servitù personale. Si dovrà quindi dire che l'onere non possa consistere in un diletto che si procura al fondo dominante? Il codice parla di uso ed utilità; ma ciò che d'Argentré diceva circa l'abbellimento di una città. può riferirsi al diletto che presenta una casa; ciò che è bello e dilettevole è per ciò appunto vantaggioso. La massima è sempre (1) Confronta AUBRY e RAU, t. III, 5. 63, note 11 e 12 e le autorità ivi citate. () PAOLO, nella loro 8, D., De serentut. (VIII, 1). stata ammessa, ed il codice consacra implicitamente la dottrina tradizionale, dicendo nell'articolo 686 che è permesso ai proprietarii di costituire quelle servitù che sembrano loro opportune, purchè non siano imposte a favore della persona, ma per un fondo. Tal'è la servitù di prospetto, che procura una piace vole veduta agli abitanti d'una casa. Ciò non presenta alcun dubbio; è dunque inutile d'insistervi. Ma se dall'onere imposto ad un fondo non risultasse alcuna specie di vantaggio pel preteso fondo dominante, non solamente non vi sarebbe servitù, ma, come dice il tribuno Albisson, la stipulazione sarebbe assolutamente nulla (1), poichè non darebbe luogo ad alcuna azione. 145. Scaturisce da ciò una conseguenza importantissima, cioè che un diritto apparentemente stipulato in favore di un fondo non è una servitù reale, se realmente non profitta che alla persona dello stipulante. Il principio è evidente, essendo scritto nell'articolo 686, che vieta di pattuire servitù in favore della persona, ma l'applicazione presenta grandi difficoltà, poichè spesso non è agevole decidere se l'onere è stabilito in favore della persona o del fondo. Occorre, in ciascuna specie, esaminare se il fondo ritrae un vantaggio dal peso, vale a dire se ne profittano tutti gli abitanti del fondo. Tempo addietro era usitatissima una concessione che dava il diritto di prendere in una foresta le legna necessarie al riscaldamento del concessionario e della sua famiglia. Perchè questo diritto costituisca una servitù reale, occorre innanzi tutto che sia stipulato in favore di un fondo. In questo caso vi è servitù. Non si può dire che il diritto reale è stipulato in favore della persona, poichè le case per poter essere abitate hanno pur bisogno di legna da ardere. Dunque tutti quelli che abitano la casa profitteranno della servitù, e per conseguenza l'onere è stabilito in favore del fondo (2). 146. Sarà lo stesso del diritto di caccia? La questione è assai controversa, e v'ha qualche dubbio. È certo che io posso pattuire il diritto di caccia sul terreno altrui. Nulla anzi è più frequente di queste convenzioni; ma quale ne è la natura e quali ne sono gli effetti? Ordinariamente è una locazione; in questo caso, è certo che il diritto che risulta per l'affittuario è un diritto d'obbligazione. Si domanda se la facoltà di caccia può essere consentita altresì a titolo di diritto reale, sia come servitù personale, sia come servitù reale. La caccia è uno degli attributi della proprietà, è dunque una delle utilità che sono annesse ad un fondo; la questione è di sapere se può esserne staccata a vantaggio d'una persona o a vantaggio d'un fondo. Noi ab biamo già affrontata la prima questione e l'abbiamo decisa affermativamente (1). Rimane a sapere se il diritto di caccia può essere stipulato a titolo di servitù reale. In diritto romano ciò non era ammesso (2), e tale è ancora il parere della maggior parte degli autori sotto l'impero del codice civile (3). Si dice che il diritto di caccia non procura utilità e diletto che al cacciatore, che perciò nor ne risulta un miglioramento pel fondo nel cui vantaggio lo si stipuli. L'obbiezione è senza dubbio vera, si può anche aggiungere che non v'è un piacere più personale che la caccia; è una passione, e nulla è certo più individuale di un piacere che il più delle volte si spinge fino alla passione. Noi crediamo che l'opinione generale sia fondata sui veri principii; ma non è essa troppo assoluta? Demolombe dice che non si troverà mai un caso in cui il diritto di caccia migliori un fondo (4). Supponiamo un parco destinato alla caccia; il proprietario stipula il diritto di caccia sulle terre vicine a vantaggio del detto parco. Ecco un diritto stabilito sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo; è il parco di caccia come tale che sarà migliorato, vi potrà essere dunque servitù. Il caso che segue si è presentato dinanzi la Corte di cassazione. In virtù d'una concessione dell'8 giugno 1506, il signore di Soulaines accordò agli abitanti del comune il diritto di caccia assieme a quello di pascolo e della raccolta delle ghiande. Qual'è la natura del diritto risultante da questa concessione? Da una parte esso affetta il fondo sul quale può esercitarsi, in virtù del diritto che attribuisce al concessionario di penetrarvi e seguire la selvaggina; da un'altra parte, è annesso all'abitazione nel comune e non alla persona dell'abitante, poichè costui lo perde dal momento che abbandona il comune; è dunque un diritto sovra un fondo a favore di un altro fondo, e perciò una servitù reale (5). Si potrebbero invocare le considerazioni della sentenza per indurre che in tutti i casi il diritto di caccia stipulato per un fondo è un diritto reale. Ciò sarebbe oltrepassare, ci sembra, il pensiero della Corte; essa ha statuito sopra una ipotesi particolare nella quale il diritto di caccia non è più un piacere individuale, ma una facoltà generale accordata al medesimo titolo che il pascolo e la raccolta delle ghiande a tutti coloro che abitano il comune; esso perde con ciò il carattere personale che gl'impedisce d'essere l'obbietto d'una servitù reale. Concluderemo pertanto che il diritto di caccia può essere smembrato dalla proprietà, sia a titolo di di (1) Vedi il tomo VI dei miei Principii, n. 86-108. (2) ELVERS, Die römische Servitutenlehre, § 16, p. 150. (3) Vedi le autorità in Dalloz, alla parola Servitude, n. 56, AUBRY e RAU, t. III. p. 62 e nota 5. (4) DEMOLOMBE, t. XII, p. 192, n. 687. (5) Sentenza di rigetto del 4 gennaio 1860 (DALLOZ, 1860, 1, 14). ritto d'uso, sia a titolo di servitù reale; ma in quest'ultimo caso occorre che procuri un'utilità ai fondi nel cui interesse è stabilito, il che avviene in circostanze eccezionali. 147. Si può stipulare, a titolo di servitù, un onere sopra un fondo nell'interesse dell'industria esercitata in un altro fondo? Su tale questione regna una grande incertezza nella dottrina te nella giurisprudenza. Bisogna anzitutto precisare il vero significato della regola contenuta nelllarticolo 686, a termini del quale i servigi stabiliti non possono essere imposti nè alla persona, nè in favore della persona, ma solamente ad un fondo e per un fondo. La caratteristica della servitù reale è che il servizio è dovuto dal fondo serviente; occorre dunque che sia un'utilità staccata da questo fondo nell'interesse del fondo dominante. Se è la persona che rende il servizio, vale a dire se esso è di tal natura da non potersi rendere che dalla persona e non da un fondo, non può parlarsi di servitù. Così sarebbe dell'onere stipulato sotto il nome di servitù, e che consistesse nell'obbligo imposto agli abitanti di un Comune di prosciugare le acque di uno stagno durante la notte o di lavorare i campi a profitto del fondo dominante. Dianzi questi oneri erano imposti a titolo di prestazioni feudali; oggi non potrebbero venir ristabiliti come oneri reali; l'art. 686 lo proibisce; poichè è ben evidente che i medesimi non costituiscono un servigio reso da un fondo ad un altro, ma un obbligo imposto ad una persona in favore d'una persona, dunque un diritto d'obbligazione e non un diritto reale. Tale è il valore della regola scritta nell'articolo 686, quando si consideri la servitù come un onere. I medesimi principii si applicano alla servitù considerata come diritto. La questione sta nel sapere se un onere che sarebbe uno smembramento del fondo serviente può essere stipulato a vantaggio d'una persona. Nell'antico diritto si ammetteva che ogni servitù reale potesse divenire personale dove fosse stipulata anzichè in vantaggio di un fondo, in quello d'una persona (1). Il codice non lo permette più, sembra anzi che lo proibisca in modo assoluto. In questo senso si esprime l'oratore del Tribunato; egli vede in qualunque servitù stabilita in favore di una persona, una di quelle servitù escogitate dal feudalismo, ed è appunto per togliere di mezzo ogni possibilità che quelle si riproducano, egli dice, che il codice proibisce di stipulare una servitù sovra un fondo in favore d'una persona (2). Tuttavia il divieto dell'articolo 686 non è così assoluto come pare. Gillet osserva che dianzi comprendevansi fra le servitù personali l'usufrutto, l'uso e l'abitazione, ma che secondo il codice civile, questi diritti sono trattati come appen (1) MERLIN, Répertoire, alla parola Servituae, § IV, n. 4. (2) GILLET, Discorso, n. 12 (LOCRÉ, t. IV, p. 195). |