front sti hanno una proprietà di cui non possono essere privati che a mezzo dell'espropriazione per causa di pubblica utilità? No. abbiamo risposto dianzi alla questione. I frontisti non hanno che un diritto imperfetto il quale non frappone alcun ostacolo alla libera azione dell'autorità amministrativa; questa può cambiare lo stato dei luoghi, come lo giudica conveniente, senza esessere in ciò rattenuta dai diritti dei frontisti. Costoro non hanno che un regresso per indennità. Tal'è la giurisprudenza delia Corte di cassazione di Francia; essa ha deciso reiteratamente che se una strada comunale è regolarmente soppressa, questa soppressione porta seco l'estinzione dei diritti ti di servitù che i frontisti avevano sulla strada, salvo compenso da parte del comune. L'indennità può consistere sia in un altro passaggio, sia in danni-interessi (1). Vi è qui ancora una volta qualche cosa che scandalizzerà i partigiani dei principi assoluti: essi domanderanno come mai i diritti di servitù dei frontisti possano estin guersi per la vendita del fondo gravato di servitù. Egli è perchè, nella specie, il fondo serviente dipende dal demanio pubblico; ed i frontisti non vi avevano diritti se non perchè questo demanio era destinato all'uso delle proprietà prospicienti; dal momento dunque che il fondo serviente cessa di appartenere al demanio pubblico, cessa di servire; ciò significa, in altri termini, che le servitù si estinguono. Se ciò non ostante i frontisti hanno diritto ad un'indennità, è perchè avevano un diritto di servitù fondato sopra una convenzione tacita, convenzione la quale implica che l'autorità amministrativa, pur conservando il diritto di cambiare lo stato dei luoghi, non può però farlo se non indennizzando i frontisti. 135. L'indennità suppone un diritto leso. Quando dunque i frontisti hanno intrapresa qualche opera sulla via pubblica per semplice tolleranza, fosse anche in virtù di una concessione, non hanno diritto ad alcuna indennità (2). Qui si manifesta in tutta la sua forza il principio che le vie pubbliche sono poste fuori commercio; l'autorità amministrativa può tollerare ciò che le sembra compatibile colle necessità della comunicazione; ma non appena sorga un qualsiasi inconveniente, ha il diritto ed il dovere di far cessare le usurpazioni; essa si vale del suo diritto senza ledere l'altrui, e non deve quindi alcun compenso; ancorchè avesse accordata un'autorizzazione formale può sempre revocarla, senz'esser tenuta ad indennizzare il concessionario, poichè queste concessioni non attribuiscono diritto alcuno Il regresso per indennità è un'azione di danni-interessi; e perchè si possa far luogo a questi ultimi non basta che sia leso un diritto, ma occorre altresì che si sia cagionato un pregiudizio : (1) Sentenza di rigetto del 15 luglio 1871 (DALLOZ, 1851, 1, 234) e del 3 maggio 1858 (DALLOZ, 1858, 1, 276). (2) PARDESSUS, t. I, p. 102 e seg., n. 41. come si può domandare la riparazione d'un danno allorchè non se n'è sofferto alcuno? Il Comune costruisce un edificio sopra una piazza pubblica: con ciò esso diminuisce il prospetto dei frontisti; dovrà forse pagar loro un indennizzo? Tutto si riduce a vedere se danno vi fu; è dunque una questione di fatto. Se la piazza pubblica, quantunque ristretta, rimane abbastanza vasta perchè i frontisti possano esercitare i loro diritti di veduta, essi non hanno ragione di dolersi, perchè è questo il solo diritto che loro attribuisce la convenzione tacita su cui poggiano le servitù che loro appartengono; ma la medesima convenzione riserva pure tutti i diritti del comune, il quale non si è obbligato a conservare alla piazza pubblica l'estensione che aveva al momento delle costruzioni e non può quindi essere tenuto ad indennità alcuna quando diminuisce semplicemente i vantaggi di cui i frontisti godevano. Su questo punto siamo d'accordo con Pardessus (1). Essendo l'indennità una questione di danni-interessi, il tribunale potrà aver riguardo ai vantaggi che risulteranno ai frontisti dai mutamenti di cui si dolgono. Ciò avverrà assai di frequente in materia d'allineamento. Un frontista costruisce o ricostruisce in virtù di un nuovo allineamento che sporge innanzi a tutte le costruzioni prospicienti. Temporaneamente coloro che non sono ancora nel caso di ricostruire soffriranno qualche pregiudizio dalle costruzioni che diminuiranno più o meno le loro vedute ed ostacoleranno le loro uscite. Ma questo inconveniente avrà il compenso in un vantaggio maggiore che essi più tardi ritrarranno dall'allineamento. In questa specie è stato deciso che i frontisti non avevano diritto ad alcuna indennità (2). 136. Rimane a vedere chi debba pagare questa indennità. A rigor di principio, è il Comune pel fatto del quale la servitù è soppressa. Ordinariamente il Comune, quando modifica o sopprime una strada, vende il terreno che cessa di servire alla circolazione pubblica. Se il contratto di vendita nulla dice delle servitù di veduta e di uscita, si estingueranno come abbiamo detto, salva l'azione d'indennità contro il Comune. Il compratore non può esservi obbligato, poichè esso non è vincolato che dal suo contratto, e noi abbiamo supposto che il contratto serbi il silenzio (3). Se il Comune vuol evitare l'azione di regresso, deve stipulare nell'atto di vendita che il compratore dovrà soffrire l'esercizio dei diritti di veduta e di uscita (4), o che sarà te (1) PARDESSUS, t. I, p. 102, n. 41. PROUDHON, Du domaine public, t. I, nn. 365 366. (2) Sentenza del tribunale di Huy del 20 febbraio 1862 (Jurisprudence des trirunaux de première istance, per CLOES e BONJEAN, t. XI, p. 210), con le osservazioni di CLOES. (3) Liegi, 9 marzo 1861 (Pasicrisie, 1868, n. 354). (4) Liegi, 12 dicembre 1835 (Pasicrisie, 1835, 2, 368). nuto a pagare un'indennità. Quest'ultima clausola e la più giuridica, poichè le servitù sono estinte di pieno diritto fin dall'istante in cui la strada cessa di formar parte del demanio pubblico. 137. L'applicazione dei principii che abbiamo stabiliti presenta nuove difficoltà, e la giurisprudenza attesta quanta incertezza rimanga ancora sui principii stessi. Si costruisce un canale; la nuova via navigabile deve traversare un podere; lo Stato compera i terreni a trattative private, e viene stipulato nell'atto di vendita che lo Stato costruirà quattro ponti sul canale, che la via di comunicazione della proprietà avrà luogo per gli argini del canale e che si faranno le rampe necessarie per renderne facili gli approdi. Sorsero contestazioni fra i proprietarii del fondo e l'autorità amministrativa circa l'estensione e la portata di queste clausole. Innanzi alla Corte di cassazione il prefetto attore sostenne in nome dello Stato, che la convenvenzione e la sentenza della Corte che l'estendeva a tutta la proprietà stabilivano delle servitù sovra pertinenze del demanio pubblico. Era incontestabile che vi era servitù, ed era incontestabile eziandio che il canale formava parte del demanio pubblico dello Stato. Che decise la Corte? Che non si trattava di una parte del demanio pubblico antico e riconosciuto, il cui carattere fosse incontestabile; che il canale del Nivernese formava una parte nuova e recentemente costituita del pubblico demanio; che il dominio, obbietto del litigio, era stato acquistato sotto condizioni imposte ed accettate per mezzo di convenzioni volontarie e reciprocamente obbligatorie. La Corte concluse che nella specie non si trattava di servitù costituite sul demanio pubblico, ma di servitù convenzionali (1). Senza dubbio la servitù era convenzionale, ma che importa? É forse meno vero che gravava il canale del Nivernese, e questo canale non era una pertinenza del demanio pubblico? Il canale era di recente costruito. Che importa? Occorre dunque che una via navigabile sia antica per appartenere al demanio pubblico? Questi motivi non si discutono; la decisione è fra quelle che eludono le vere difficoltà in luogo di affrontarle francamente. Bisognava dire: sì, si tratta di una servitù costituita sul demanio pubblico mediante convenzione. É vero che il canale non è in commercio, ma la destinazione pubblica del canale non impedisce che possa divenire oggetto di convenzioni e di diritti che non ostacolino questa destinazione; dunque la servitù è legittimamente costituita. 138. Si può avere una servitù sopra un luogo destinato al pubblico passeggio? La questione è stata risoluta in senso negativo dalla Corte di Poitiers, e Demolombe approva questa decisione. La sentenza dice che la passeggiata sulla quale i fron (1) Sentenza di rigetto del 17 luglio 1849 (DALLOZ, 1849, 1, 315). tisti avevano aperte finestre era fuori di commercio, che il parco era destinato al passeggio ed a pubbliche feste, che i frontisti non potevano acquistare servitù sopra un terreno che era sottratto al commercio e non era certo destinato a procurare ai vicini vedute ed uscite (1). Ci sembra che la questione sia stata mal posta. Si tratta di sapere se un luogo di pubblico passeggio o qualunque altra pertinenza del demanio pubblico possa essere gravata da una servitù, quando questa non noccia alla destinazione della cosa. Se si risolve la questione affermativamente come si fece da noi, bisogna esaminare in fatto se le finestre dei vicini impediscano agli abitanti di passeggiare nel parco. Ciò non è neppur discutibile. Forse che i passanti che gironzano per le strade e per le piazze pubbliche non sono veduti dai frontisti? Impedisce ciò loro di passeggiare e di gironzare? Quelli che passeggiano in un parco sono forse impediti dal passeggiare perchè dalle case contigue li si può vedere? Non è forse appunto per essere vedute che un gran numero di persone frequenta un parco? Non insistiamo su ciò: tutti coloro che si sono divertiti passeggiando per un pubblico parco saranno senza dubbio del nostro parere. 139. Questa opinione è stata anche consacrata dalla Corte di Nancy in una specie più seria. I muri delle piazze di guerra formano parte del demanio pubblico, sono dunque fuori commercio. Ora, il muro, obbietto del litigio, era stato costruito nel 1701, in adempimento del trattato di Riswick, per completare la cinta della città di Nancy; esso era perciò sottratto al commercio, e serviva inoltre ad assicurare la riscossione dei diritti daziarii e l'adempimento delle misure di polizia che la pubblica sicurezza può esigere. Ciò non ostante un proprietario praticò delle aperture nel muro della città ed aprì finestre nel muro della sua casa, costruita al disopra di quello; doppia servitù, dice il tribunale di Nancy, contro la quale reclamava la destinazione del muro. La Corte d'appello decise che il muro della città era senza dubbio sottrato al commercio, ma che da ciò derivava una sola conseguenza, cioè che il proprietario della casa contigua nor poteva fare alcun'opera contraria alla destinazione di quello; tali erano evidentemente le aperture che aveva praticate nel muro della città. Ma in che mai le finestre aperte nel suo proprio muro potevano ostacolare l'opera degli impiegati daziarii? poichè non era in causa la difesa della città. Queste finestre, dice benissimo la Corte, lungi dal porre ostacolo alle misure di polizia e di sorveglianza che il muro è destinato a proteggere, rendono, al contrario, più difficile la frode. Era dunque il caso d'applicare il principio che permette di costruire (1) Poitiers, 31 gennaio 1837 (DALLOZ, alla voce Servitude, n. 67). DEMOLOMBE, t. XII, p. 109, n. 698. servitù sopra una cosa di spettanza del demanio pubblico, purchè non si rechi offesa alla sua destinazione (1). 140. Le chiese, avendo una destinazione pubblica, sono poste fuori di commercio, ed appartengono al demanio pubblico municipale. È stato giudicato che i proprietarii contigui non potevano acquistare la comunione del muro della chiesa. La decisione è giuridica e conforme all'antica giurisprudenza, però con una restrizione. I termini in cui quelle decisioni sono concepite sono talmente generali che sembrano proscrivere qualunque specie di servitù sopra una chiesa (2). Ciò è troppo assoluto; bisogna applicare alle chiese il principio generale che regola i beni sottratti al commercio. È quindi necessario distinguere: se la servitù è incompatibile col servizio del culto, col decoro che questo esige, non potrà essere stabilita, e si potrà sempre domandarne la soppressione. Ma se la servitù non è d'alcun ostasolo alla destinazione della chiesa, non vi è ragione per far eccezione ai principii generali; tale sarebbe la servitù che consistesse nel sopportare l'onere del vicinato. É questa l'opinione di Troplong, e noi la crediamo giusta (3). La Corte di Gand ha applicato il medesimo principio ai cimiteri. Finchè conservano la loro destinazione pubblica sono fuori di commercio. Le Corte constata nondimeno che in Fiandra esistono passaggi pubblici pei pedoni in quasi tutti i cimiteri che circondano le chiese dei comuni rurali. Gli è che il passaggio non è di ostacolo a che il cimitero serva all'inumazione, poichè non si fanno sepolture in quella parte che è riservata ai pedoni (4). 141. Non bisogna confondere il demanio privato dello Stato col demanio pubblico. Il primo è in commercio e può quindi essere gravato di servitù. Cosa notabile e che viene in appoggio della nostra dottrina, si è che nell'antico diritto tutte le parti del demanio dello Stato erano colpite d'inalienabilità e per conseguenza erano imprescrittibili, eppure l'inalienabilità non impediva la costituzione di servitù. Ciò sembra poco logico, ed una deroga al rigore del diritto. A vero dire non eravi inconseguenza, poichè i motivi che hanno fatto stabilire l'inalienabilità del demanio della corona nulla han di comune con le servitù. Secondo il nostro diritto moderno, i beni dello Stato sono alienabili e prescrittibili; saranno quindi soggetti al diritto comune anche in materia di servitù. É stato deciso in applicazione di questo principio, che il diritto di passaggio sul fondo intercluso (1) Nancy, 31 gennaio 1838 (DALLOZ, alla parola Servitude, n. 76). (2) Tolosa, 13 maggio 1831, e sentenza di Cassazione del 5 maggio 1833 (DALLOZ, alla voce Servitude, n. 451). Confronta DALLOZ, alla voce Domaine public, an. 58 e 59. (3) TROPLONG, De la prescription, n. 173. In senso contrario, DALLOz, alla voce Domaine public, n. 59. (4) Gand, 8 maggio 1846 (Pasicrisie, 1846, 2, 175). |