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dalla quale nessun fondo può esonerarsi; si fermeranno forse le acque innanzi ad una strada, per la ragione che un terreno è stato convertito in via pubblica? Invano si dice che la destinazione pubblica delle strade impedisce l'esercizio di qualunque servitù. L'autorità amministrativa potrà bensì fare quelle opere che giudichi più convenienti per conservare la libera viabilità dei mezzi di comunicazione, ma non le è permesso di ricacciare le acque sui fondi superiori. Dunque la via pubblica è gravata della medesima servitù che colpisce i fondi appartenenti ai privati (1).

Vi è un'altra servitù legale che interessa tutti i rivieraschi. L'art. 681, posto nel capitolo delle servitù stabilite dalla legge, prescrive che ciascun proprietario deve costruire i tetti in modo che le acque piovane scorrano sul suo terreno o sulla via pubblica. Il proprietario ha dunque diritto di lasciar scorrere le acque piovane sopra un fondo che è fuori di commercio; dunque le strade servono all'uso delle proprietà prospicienti. E inutile insistere; le strade sono precisamente destinate all'uso dei proprietari frontisti; è sulle strade che essi aprono le loro porte e finestre; senza le strade, non si concepiscono case agglomerate. Anzichè dunque affermare che l'apertura di finestre e di porte sia in opposizione con l'uso che il pubblico può farne, bisogna dire che le strade hanno per destinazione di servire alle proprietà prospicienti.

131. Vuol dir ciò che qualunque uso i proprietari frontisti facciano delle strade sia una servitù? Ed è loro permessa qualunque specie di uso? La prima questione è controversa ed è dubbia. Bisogna anzitutto supporre che i fondi prospicienti ritraggano qualche utilità dalle strade, poichè senza fondo non può essere questione di servitù. Quando un proprietario apre finestre sulla strada, ne risulterà forse una servitù di veduta? (2) Quando egli pratica una porta che apre sulla via pubblica, acquista forse una servitù di passaggio? Siffatta questione è contenuta in un'altra più generale. I proprietari frontisti che costruiscono sulla via pubblica agiscono a titolo di diritto o di semplice tolleranza? Si pretende non esservi che semplice tolleranza, poichè il comune non ha il diritto di alienare, fosse anche parzialmente, una strada finchè appartiene al dominio pubblico, e non può neppure gravare la strada di servitù che gl'impedirebbe più tardi di sopprimerla, se volesse vendere il terreno (3). Questa argomentazione non è seria. Quando un proprietario

(1) AUBRY E RAU, t. III, p. 8 e nota 2 e 3 e le autorità che vi sono citate. (2) La questione è la medesima quando la finestra è aperta sopra un fiume od un canale (Liegi, 9 marzo 1870, nella Pasicrisie, 1870, 2, 208). Sul diritto dei frontisti d'aprire finestre e vedute, vedi il tomo VIII dei miei Principü, n. 47.

(3) PROUDHON, Du domaine public, t. I, nn. 363 e 370. TOULLIER, t. III, nn. 479 e 480. FAVARD, Répertoire, alla pa ola Servitude, p. 136.

costruisce, us. del suo diritto; ora, l'esercizio di questo diritto sarebbe impossibile se non avesse facoltà di praticare finestre e porte nel muro che fronteggia la via pubblica. Bisogna dunque ammettere che agisca a titolo di diritto. Ciò non impedirà al comune di sopprimere la strada e di vendere il terreno, ma non potrà farlo se non indennizzando i proprietari frontisti. Questo diritto che appartiene ai frontisti non è loro accordato gratuitamente perchè essi si assoggettano all'allineamento ed a tutti i pesi comunali. Vi è dunque una convenzione tacita in virtù della quale il comune permette ai frontisti di costruire alle condizioni stabilite dai regolamenti. Questa convenzione dà origine ad una servitù. Su ciò non può cader dubbio dal momento che si ammette che i frontisti agiscono a titolo di diritto; infatti, essi aprono finestre sopra un terreno appartenente ad altri; ecco il carattere essenziale della servitù: la strada, proprietà della città, serve all'utilità dei fondi fronteggianti. Si obbietta che la strada è piuttosto del demanio pubblico che del demanio comunale, vale a dire che i frontisti se ne servono come abitanti della città, che si servono dunque d'una cosa che appartiene in comune a tutti; il che esclude qualunque idea di servitù (1). Rispondiamo che la strada è proprietà comunale, tanto vero che il terreno di cui è formata è stato comperato dal comune che potrà rivenderlo se la strada viene soppressa. Siamo dunque nei termini dell'art. 637: un diritto di veduta e di passaggio è imposto sovra un fondo appartenente al comune, per l'uso e l'utilità dei proprietari frontisti (2).

Si obbietta ancora che l'uso che i frontisti fanno d'una strada non ne diminuisce in nulla l'utilità, in pregiudizio del proprietario della strada; che non ne deriva quindi quello smembramento della proprietà, che forma il carattere distintivo delle servitù. In conclusione, si dice, questo preteso diritto di servitù dei frontisti non è altro che l'uso della cosa in conformità alla sua destinazione (3). Vi è del vero in questa obbiezione, ma essa non è così decisiva come 'pare. La servitù è un onere, dunque diminuisce, in generale, il valore del fondo serviente; ma ciò non è dell'essenza della servitù. Se il mio fondo è attraversato da una strada, e se io concedo a' terzi il diritto di passare per questa via, può darsi benissimo che la mia proprietà non soffra alcuna diminuzione di valore, ma è pur sempre vero che la destinazione di questa strada è di servire al passaggio. Ciò non impedisce che vi sia servitù. Vi è dunque altresì servitù quando una strada serve ai frontisti, poichè un fondo rende servizio

(1) Grenoble, 15 luglio 1824 (DALLOZ, alla parola Servitude, n. 65). (2) Besançon, 29 aprile 1841 (DALLOZ, alla parola Propriété, n. 166, 1.°); Liegi, 29 giugno e 12 dicembre 1835 (Pasicrisie, 1835, 2, 561 е 358); AUBRY e RAU, t. III, p. 70 e nota 5, e le autorità che citano.

(3) MASSÉ E VERGE SU ZACHARIAE, t. II, p. 196, nota 2.

ad un altro fondo, ed è questo il carattere essenziale della servitù.

132. Si muove un'altra obbiezione che ci condurrà ad esaminare la natura particolare delle servitù costituite sopra un fondo di spettanza del demanio pubblico. Gli stessi autori che sostengono essere vere servitù i diritti esercitati dai proprietari frontisti sulla via pubblica, confessano che non tutti hanno i caratteri che presentano le servitù in generale (1). Ma dove è la linea di demarcazione? E se questi diritti non riuniscono tutti i caratteri che distinguono le servitù, non bisogna concluderne che non sono vere servitù? Qui sta il nodo della difficoltà. Nulla vi è d'assoluto in fatto di servitù. Il codice stesso dà questo nome ad oneri ed obbligazioni derivanti dalla situazione dei luoghi, o dalle relazioni di vicinato, quantunque questi oneri e queste obbligazioni differiscano, sotto molti rapporti, dalle servitù costituite pel fatto dell'uomo. Ciò è tanto vero che gli autori negano che si tratti di vere servitù. Vi hanno dunque diverse specie di servitù. Ebbene, quelle che gravano i fondi di dominio pubblico costituiscono una specie particolare, determinata dalla natura del fondo serviente. Questo fondo ha una destinazione pubblica che lo mette fuori commercio. Donde una prima conseguenza sulla quale tutti sono d'accordo (2): i diritti esercitati dai proprietari frontisti nell'in. teresse dei loro fondi non possono compromettere la destinazione pubblica delle strade. Vi ha di più: l'autorità comunale non può neppure concedere simili servitù, non essendole permesso di disporre, a vantaggio esclusivo di alcuni, di una via pubblica che deve servire a tutti; le sue concessioni, se ne fa, non sono che atti di semplice tolleranza, che può sempre revocare. Così se ha sofferto un'usurpazione sopra una strada, proveniente da un balcone o da uno scavo, essa può ben sopprimere ciò che ha tollerato.

Dal medesimo principio si deduce un'altra conseguenza. Le vie pubbliche, quantunque stabilite con intenzione che siano perpetue, non sono però tali; è diritto e dovere dell'autorità amministrativa di ripararie ed anche di sopprimerle quando l'interesse pubblico lo esige: tale sarebbe un motivo di pubblica sanità, od il vantaggio del commercio e dell'industria, od anche l'abbellimento della città, prospettando pure quest'ultimo l'interesse generale, come dice il vecchio D'Argentré (3).

(1) DEMOLOMBE, t. XII, p. 203, n. 699. Confronta PARDESSUS t. I, p. 97, n. 40; AUBRY e RAU, t. III, p. 69 e nota 4.

(2) DEMOLOMBE, t. XII, p. 198, n. 698 e AUBRY & RAU, t. III, p. 69, nota 3 e gli autori che citano.

(3) « Quia publicorum usus non solum ex commodo sed ex ornatu etiam et facie aestimantur. » D'ARGENTRÉ, Sur la coutume de Bretagne, art. 226, cap. XXIII, p. 1136.

S'intende da sè che il comune non può mai alienare un diritto che è nel contempo un dovere. Quando dunque consente tacitamente che i proprietari frontisti aprano finestre e porte nei muri prospicienti, esso non si obbliga, come la legge dice delle servitù ordinarie, « a nulla fare che valga a diminuire l'uso della servitù od a renderla più incomoda (art. 701) ». Il comune, a differenza dei proprietari dei fondi servienti in generale, può mutare lo stato dei luoghi; ed è ciò che fa quando modifica una strada o la sopprime. È questo un suo diritto inalienabile. Ecco una differenza, certo assai grande, fra le servitù che cadono sulla via pubblica e quelle che gravano proprietà private. Si concluderà da ciò che non sono vere servitù? La deduzione sarebbe poco giuridica; infatti, le convenzioni delle parti interessate possono modificare i diritti del proprietario dominante, aggravare o diminuire l'onere del fondo serviente, senza che la servitù cessi di essere tale. Ebbene, la modificazione, che può essere stipulata mediante convenzione, risulta, nella specie, dalla natura del fondo serviente.

133. Che cosa è mai un diritto, si dirà, che il proprietario del fondo serviente può distruggere? e che è mai un onere dal qual ognuno può affrancarsi a sua posta? Noi rispondiamo che se l'autorità amministrativa sopprime le finestre e le porte mu tando lo stato dei luoghi, sarà tenuta ad indennizzare i proprietari frontisti. Cosa assai notevole! Tutti sono d'accordo nel riconoscere che i frontisti possono reclamare un'indennità, anche coloro i quali negano che essi abbiano una servitù (1); e la giurisprudenza altresì, quantunque assai scissa intorno al principio, si è pronunciata in favore dei frontisti (2). Nella nostra opinione, il diritto dei frontisti è evidente; esso scaturisce logicamente dal principio che abbiamo stabilito. Se i frontisti hanno una servitù di veduta ed uscita sulla via pubblica, l'autorità amministrativa non può togliere loro questo diritto senza compenso. In Francia si è sostenuto il contrario, quando si discusse la legge del 24 maggio 1842 sulle quote delle strade regie abbandonate per causa di mutamento del tracciato di apertura di una nuova strada. Se si parte dal principio assoluto che mette la via pubblica fuori di commercio, si deve conchiudere che il demanio pubblico non può essere smembrato, nè per conseguenza gravato d'una servitù. Questo significa non tenere nessun conto del diritto dei frontisti. Come ha detto benissimo il relatore della legge del 1842, Renouard, « la ragione e la giustizia non s'acconciano giammai a queste tesi

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(1) Vedi gli autori citati in DALLOZ, alla parola Voirie par terre, n. 122. (2) Questo è cost pacifico che le Corti non porgono dei motivi, ma ammettono il diritto come un assioma (sentenza di Cassazione del 5 luglio 1836; DALLOZ, alla parola Propriété, n. 151).

comode e parziali in cui trionfa l'argomentazione, e che, dove esistono due principi, non si peritano di basarsi sopra un solo di essi senza tenere alcun conto dell'altro > (1). Noi non contestiamo il diritto dello Stato, ma accanto ad esso vi è pur quello dei frontisti; lo Stato può sopprimere le finestre e le porte, se l'interesse dell'edilizia lo esige, ma nol può fare che indennizzando i proprietari frontisti.

L'opinione contraria, la quale non ammette che i proprietari fronteggianti abbiano un diritto di servitù sulla via pubblica, e che nondimeno attribuisce loro un'indennità, è imbarazzatissima nel trovare un fondamento a questo compenso. Vi son di quelli che riconoscono un diritto ai frontisti, ma dicono che non è un diritto di servitù, bensì un diritto sui generis (2). Che cosa è dunque questo diritto? e donde nasce? È impossibile definirlo e determinarne i caratteri. In sostanza, questa opinione non differisce dalla nostra che nelle parole. Noi pure ammettiamo che i diritti di veduta e di uscita dei frontisti siano ser. vitù d'indole particolare; ma almeno diciamo qual'è la natura di queste servitù, e perchè non hanno tutti i caratteri dei diritti che derivano dal fatto dell'uomo. La nostra dottrina giunge al medesimo risultato pratico, ma ci sembra che riesca più conforme ai principi. Quanto agli autori i quali, pur negando che i frontisti abbiano un diritto, accordano loro un'indennità, essi sono affatto inconseguenti: basta leggere Pardessus per convincersene (3). Egli invoca la regola di equità la quale non permette ad alcuno di mutar parere in altrui pregiudizio. Singolare argomento in bocca ad un giureconsulto! L'equità s'indirizza al legislatore, ma l'interprete non può fondarvi un diritto. A colui che reclamasse un'indennità in nome dell'equità, il comune o lo Stato potrebbe rispondere: « Io uso del mio diritto e non ledo quello di alcuno, dunque non faccio torto a nessuno ». I frontisti, aggiunge Pardessus, hanno in loro favore la più potente delle autorità, la fede pubblica, poichè è sulla fede pubblica che essi hanno aperto finestre e porte. Ciò è molto vago. Se la fede pubblica attribuisce un diritto ai frontisti, allora essi possono reclamare un'indennità, ma in questo caso si ritorna all'opinione da noi sostenuta. Che se i frontisti non hanno diritto, invano farebbero appello alla fede pubblica; non si basa azione civile sulla fede pubblica!

134. Vi hanno altre difficoltà in questa non lieve materia. Tutti accordano un'indennità ai frontisti. Vuol dire ciò che i

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(1) RENOUARD, Relazione, in DALLOZ, alla parola Voirie par terre, t. XI e IV, p. 210, n. 2 e seg.

(2) FERAUD GIRAUD, Des modifications apportées au droit de propriété, t. II, numero 343 e 586, seguito da DALLOZ, alla parola Voirie par terre, n. 122. In questo senso, Orléans, 5 marzo 1869 (DALLOZ, 1869, 2, 17).

(3) PARDESSUS, t. 1, p. 99 e segg., n. 41.

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