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In apparenza, non si trattava che di diritti reali spettanti ad un fondo rispetto ad un altro fondo; ma la dipendenza delle terre portava seco la dipendenza di coloro che le possedevano; era questo precisamente il carattere della servitù feudale, cioè che l'asservimento del fondo legavasi all'asservimento della persona. La notte del 4 agosto pose fine per sempre agli abusi del feudalismo; è un beneficio che noi dobbiamo alla Francia, e pel quale essa merita il glorioso nome di grande nazione che le meschine passioni non perverranno a toglierle mai. Il codice civile consacrò le conquiste della Rivoluzione nel campo del diritto privato. Napoleone aveva ragione di andar fiero dell'opera sua; poichè sono le leggi civili più ancora delle leggi politiche quelle che fanno penetrare le idee di libertà nelle abitudini quotidiane di un popolo.

Tal'è l'immensa portata di quelle poche parole scritte nell'articolo 638: « La servitù non determina alcuna preminenza di un fondo sopra l'altro ». Gli oratori del Governo e del Tribunato non hanno mancato di mettere in evidenza questo principio lanciando un'ultima maledizione al regime feudale, il cui ricordo era ancor vivo al principio del secolo XIX. Se oggidì gli uomini ignorano ciò che fu il feudalismo, non dimentichino che senza la rivoluzione dell'89 sarebbero ancora dei servi soggetti a taglie ed a prestazioni senza misura. Noi trascriveremo le parole degli autori del codice: ciò forma la gloria della nostra legislazione civile. Berlier, l'oratore del governo, comincia dal proclamare la libertà dei fondi; ma questa libertà è suscettibile di modificazioni, nel senso che un fondo originariamente franco può essere assoggettato ad un altro fondo. Indi l'oratore si affretta di aggiungere che non si tratta delle preminenze d'un fondo sopra l'altro, che ebbero origine nel regime per sempre abolito dei feudi: non si tratta di servigi imposti alla persona ed in favore di una persona, ma solamente ad un fondo e per un fondo. I tribuni parlarono un linguaggio ancor più vivace. Dichiarando che la servitù non stabilisce alcuna preminenza d'un fondo sopra l'altro, dice Albisson, la legge <<< previene qualunque secondo fine che potesse aver riguardo a quella disastrosa gerarchia fondiaria che ha disonorato la legislazione francese sino alla notte memorabile del 4 agosto 1789 ». Gillet parla con ira della mostruosa mole del feudalismo, e lancia nel contempo un grido di trionfo sulla sua soppressione. « Che cosa era infatti il regime feudale, se non l'arte di fare della proprietà fondiaria un istrumento di servaggio? E leggonsi pure negli antichi giureconsulti ampie dissertazioni per dimostrare che i doveri feudali formavano parte delle servitù! Il progetto ha voluto che i servigi prediali non potessero mai più offrire un pretesto per riprodurre queste idee proscritte per sempre » (1).

(1) BERLIER, Esposizione dei motivi (LOCRÉ, t. IV, p. 178). ALBISSON, Relazione fatta al Tribunato, n. 3 (LOCRÉ, t. IV, p. 185). GILLET, Discorso, n. 5 (LOCRÉ, t. IV, p. 193.

Il principio formulato dall'art. 638 è di ordine pubblico, essendo destinato a garentire la libertà delle persone, assicurando la libertà dei fondi. Donde segue che non è permesso ai privati di derogarvi. L'art. 686 riproduce questa sanzione dalle leggi di ordine pubblico, quantunque fosse già scritta nell'art. 6 del codice. Si direbbe che il legislatore tenga a ripetersi in questa materia, affinchè sia ben dimostrato, come diceva l'Assemblea costituente, che il territorio della Francia è libero, come le persone che vi appartengono (1). Perciò qualunque convenzione la quale riproducesse, sotto qualsivoglia apparenza, le servitù feudali, sarebbe nulla, di nullità assoluta, perchè violerebbe la legge fondamentale delle società moderne, la libertà.

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127. Secondo la definizione dell'art. 637, occorrono due fondi perchè vi sia una servitù, un fondo su cui l'onere è imposto ed un fondo per la cui utilità la servitù è costituita. La parola héritage (a) è un'espressione tradizionale che designa un immobile trasmesso per successione e per conseguenza un immobile in generale; le nostre antiche consuetudini, al pari delle leggi romane, usavano la parola erede per indicare il proprietario (2). Ma siccome gl'immobili e sopratutto i terreni erano per lo passato la proprietà per eccellenza, la parola fondo (héritage) fu limitata alla proprietà immobiliare. Nel linguaggio giuridico la voce si è conservata in materia di servitù.

L'immobile che deve la servitù è chiamato il fondo serviente; quello cui la servitù è dovuta si chiama il fondo dominante. Queste espressioni, usate nella dottrina, non sono precisamente legali; il codice non le adopera mai, anzi l'art. 638 è una specie di protesta contro l'idea d'un fondo dominante; la legge ado-pera solo talvolta le espressioni fondo soggetto od asservito (art. 695 e 699). Noi ci varremo delle parole tradizionali; esse non presentano più alcun inconveniente oggidì che non conosciamo più gli abusi della dominazione feudale se non attraverso la storia.

(1) Legge 28 settembre e 6 ottobre 1791, tit. I, art. 2. (a) che non traduciamo fondo.

(2) La consuetudine di LILLA dice: L'héritier d'une maison ou héritage ne s'enclôt s'il ne veut. » POTHIER, Du contrat de société, n. 234). Le Instituta dicono: « Veteres HAEREDES pro DOMINIS appellabant. » (DUVERGIER SU TOULLIER, t. II, p. 211, nota a).

LAURENT. Princ. di dir. civ. Vol. VII

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128. Nulla è più elementare del principio contenuto nell'articolo 637: esso è tuttavia fondamentale. Se la legge accorda la sua sanzione agli atti che creano delle servitù, se permette di smembrare, di menomare un fondo, è per aumentare l'utilità di un altro fondo la cui coltivazione, occupazione ed esercizio vengono migliorati dalla costituzione della servitù. Donde segue che non può essere questione di servitù se non vi è un fondo da migliorare, o quando non si possa staccare un'utilità qualunque da un fondo per farne godere un altro fondo. Ecco un caso che venne portato innanzi alla Corte di cassazione; noi preferiamo attingere gli esempî nella giurisprudenza anzichè cercarli, come si fa abitualmente, nelle leggi romane. Due comuni limitrofi, situati sulla riva del mare, si disputavano il possesso di due rocce che producevano in grandissima abbondanza l'erba conosciuta sotto il nome di varech: ciascuno pretendeva un diritto esclusivo alla raccolta di queste erbe. L'uno aveva in suo favore un possesso di molti anni e vi fu mantenuto. L'altro ricorse in Cassazione, e sostenne che il diritto di raccogliere il varech costituiva una servitù discontinua, che per conseguenza questo diritto non poteva essere materia nè di prescrizione (art. 691), nè di possesso. La Corte decise che il diritto di raccogliere il varech sulla riva del mare non costituiva una servitù, poichè non eranvi nè fondo serviente nè fondo dominante, e quindi non poteva applicarsi l'art. 691 (1).

Dal principio che sono necessari due fondi perchè vi sia una servitù, non bisogna concludere che non si possa stipulare una servitù in favore d'una casa che alcuno si proponga di costruire, e che non si possa imporre una servitù sopra una casa che il vicino vuol fabbricare. Nella specie vi sono due immobili, quantunque sotto condizione; la servitù sarà condizionale, e nulla vieta che si possa stabilire una simile servitù, come diremo in appresso (2).

129. Occorrono due immobili. Potrà qualunque immobile essere gravato d'una serviti? e si può costituire una servitù in favore di qualunque immobile? La parola fondo héritage) di cui la legge si serve dev'essere presa nel senso che la tradizione vi ha annesso; ora quest'espressione non ha mai designato altro che i terreni e gli edifici; questi immobili soltanto possono dunque formare l'obbietto d'una servitù. Tale principio è mantenuto dall'art. 687: « Le servitù sono costituite per l'uso degli edifici, o dei terreni». Donde l'antica divisione delle servitù in urbane e rustiche. Se ne deduce che le piante attaccate

(1) Sentenza di rigetto del 5 giugno 1839 (DALLOZ, alla parola Frescription, numero 182). Confronta PARDESSUS, t. I, p. 32, n. 13. (2) DURANTON, t. V, p. 487, n. 446.

al suolo naturalmente, e considerate come immobili per loro natura, non sono suscettibili di servitù; molto meno ancora gli oggetti mobili resi immobili per destinazione. Ciò ha pure un fondamento razionale. Le servitù, come la proprietà, sono perpetue nell'intenzione di coloro che le costituiscono. Occorre dunque che tanto gl'immobili servienti quanto quelli dominanti siano permanenti così da rendere possibile la perpetuità: ora, le cose mobili, come le piante, quantunque incorporate al suolo, non hanno che una esistenza temporanea, e sono destinate dalla natura stessa ad esserne distaccate. Quanto ai beni resi immobili per destinazione, non possono formar l'obbietto d'una servitù, poichè cessano di essere immobili al momento che si considerano come staccati dal suolo o da questo distinti. Rimangono i diritti immobiliari; questi sono immobili fittizî, ai quali non si può applicare il concetto di servitù. Donde il vecchio adagio: Servitus servitutis esse non potest (1).

La Corte di cassazione ha applicato questi principi in una specie ben singolare, come singolare è la sentenza che venne pronunziata. Una barriera separava due fondi; essa girava sopra un arpione infisso in una quercia che apparteneva al propriotario contiguo. Costui abbattè l'albero; fu citato in possessorio. L'azione fu respinta per la ragione che il proprietario dell'albero può abbatterlo a suo piacimento; che quando anche un albero potesse formare oggetto d'una servitù, questo diritto cesserebbe d'esistere al momento in cui l'albero fosse abbattuto, e che il proprietario non potrebbe essere tenuto a sostituirlo, estinguendosi le servitù quando le cose si trovano in tale stato da non poterne più usare. Prodotto ricorso, la Corte decise: << che trattavasi d'una servitù che non si era provato esser stata costituita per convenzione, servitù essenzialmente peritura con l'oggetto, che la mano degli uomini non potrebbe riparare nè perpetuare » (2). La Corte ammette che vi è servitù, il che è contrario all'articolo 686, il quale non riconosce altra servitù oltre quelle concernenti gli edifici ed i terreni. Si potrebbe obbiettare che, nella specie, la servitù era costituita per l'uso di un terreno, che si era dunque nei termini della legge. Noi rispondiamo che se attivamente la parola fondo significa un terreno od un edificio, deve avere il medesimo significato nel senso passivo; occorre un fondo serviente, come occorre un fondo dominante; ora, un albero non è un fondo.

130. Occorre che gl'immobili siano in commercio? A primo aspetto, si sarebbe tentati di affermare che la questione non può essere neppure sollevata. Gl'immobili che sono fuori di com

(1) AUBRY e RAU, t. III, p. 69, nota 1, e le autorità che vi sono citate. (2) Sentenza di rigetto del 6 aprile 1841 (DALLOZ, alla parola Action possessoire, 1 436).

mercio non possono essere venduti (art. 1598); ora, la costituzione di una servitù è una alienazione parziale. Ciò sembra decisivo ed in teoria è incontestabile. Ma l'applicazione del principio solleva grandi difficoltà. Vi sono immobili che, per loro natura, si trovano in commercio, e che vennero dichiarati inalienabili dalla speciale destinazione che lo Stato o il comune hanno loro attribuito. Tali sono specialmente le strade e le vie che l'articolo 538 dichiara spettanza del pubblico demanio, non essendo suscettibili d'una privata proprietà. Egli è lo stesso di tutti gl'immobili che formano parte di ciò che dicesi il demanio pubblico dello Stato o dei comuni (1). Se queste cose non sono suscettibili d'una proprietà privata, non si può dar loro neppure il nome di fondo (héritage), poichè questa espressione implica l'idea di una proprietà acquisita per successione; e non si concepisce neppure che si stacchino da queste cose talune utilità per farne godere altri fondi, attesochè i beni del demanio pubblico sono affetti intieramente ad una destinazione pubblica (2).

Ma quest'ultimo punto è forse sicuro? È egli assolutamente vero, che le cose poste fuori commercio sono affette all'uso di tutti, nel senso che nessuna utilità può esserne staccata a vantaggio dei privati? La questione, ancora una volta, sembra essere decisa dal testo del codice. Infatti, a termini dell'art. 1128 << soltanto le cose che si trovano in commercio possono formare oggetto di convenzioni ». E la dottrina applica ai legati ciò che la legge dice delle convenzioni. Dunque una cosa che è fuori di commercio non può formare l'obbietto d'una servitù, poichè le servitù si costituiscono per contratto o per testamento. Ma l'art. 1128 è forse così assoluto come sembra? Quando un terreno vien posto fuori commercio, formando esso una strada, una piazza pubblica, gli è perchè serve all'uso di tutti, in conseguenza della sua nuova destinazione. Nasce dunque la questione di sapere se l'uso di tutti sia conciliabile con l'uso che venisse accordato a taluni. L'affermativa è certa. Al titolo delle Obbligazioni, noi diremo che l'articolo 1128 non impedisce che le cose pubbliche formino oggetto d'una locazione, purchè la locazione non ostacoli la destinazione pubblica della cosa. Perchè non sarebbe lo stesso delle servitù?

Vi sono servitù cui la natura stessa assoggetta tanto le vie pubbliche quanto le proprietà private. Tal'è l'onere che grava sui fondi inferiori, soggetti a ricevere le acque che scolano naturalmente dai fondi superiori. È una legge della natura,

(1) Vedi il tomo VI dei miei Principii, n. 62 e seg.

(2) Questo è il principio del diritto romano (ELVERS, Die römische Servitutenlehre, § 13, p. 23). Vedi, in questo senso, sentenza di rigetto del 13 febbraio 1828 (DALLOZ, alla parola Prescription, n. 188, 2.°); Liegi 9 marzo 1864 (Pasicrisie, 1868, 2, 353). Confronta AUBRY e RAU, t. III, p. 69 e nota 2.

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