vanno a diminuire i diritti. Il codice dice pure che l'usufruttuario gode di tutti i frutti (art. 582), ma questo diritto è singolarmente diminuito dai pesi che in seguito gl'impone (articolo 605 e seguenti), e che possono essere talmente gravosi che si è dovuto permettere all'usufruttuario di rinunciare al suo diritto per liberarsene. Sotto questo rapporto vi è identità tra l'usufrutto e l'uso (1). Gli autori che professano l'opinione contraria fanno un'eccezione per le sementi; queste si prelevano sulla raccolta, essi dicono, perchè non vi ha raccolta senza deduzione delle sementi impiegate (2). A nostro parere è questa una inconseguenza. Le sementi sono senza dubbio alcuno comprese tra le spese di coltivazione di cui parla l'art. 635; si può forse coltivare senza sementi? Quanto all'adagio che s'invoca, esso comprende tutte le spese. Bisognerebbe dunque dire che tutte le spese si prelevano sulla raccolta, il che condurrebbe all'opinione da noi sostenuta. A vero dire, l'adagio delle spese, nulla ha di comune col diritto dell'usuario. È quando vi è luogo a restituzione dei frutti che permettesi a colui che deve restituirli di domandare un'indennità per le spese che ha fatte; ora, nella specie, non si tratta di restituire i frutti, ma di determinare gli oneri che gravano sopra un diritto reale. 121. L'articolo 635 dice che l'usuario deve contribire alle riparazioni ordinarie in proporzione del suo godimento. Egli non occupa che un appartamento della casa; quest'appartamento comprende il terzo dell'abitazione; a che egli è tenuto? Fa meraviglia veder sollevata una questione siffatta; occupando il terzo della casa l'usuario deve sopportare il terzo di tutti gli oneri, tanto delle riparazioni ordinarie quanto delle contribuzioni. Egli non potrebbe obbiettare che non gli spettano che le riparazioni relative alle camere da lui effettivamente abitate; sarebbe questa una pretesa in opposizione colla lettera della legge. Egli è lo stesso dell'eccezione che la maggior parte degli autori ammette in ordine alle riparazioni locative osservande che ciascuno degli abitanti della casa deve sopportare quelle che si fanno ai propri appartamenti. La legge avrebbe potuto disporre così, ma non lo ha fatto: essa ignora perfino il nome di riparazioni locative in materia di diritti reali; tanto la parola quanto la cosa non si applicano che alla locazione e l'uso non è una locazione. Atteniamoci dunque alla legge, che è la guida più sicura (3). (1) Questa è l'opinione comune, salvo il dissenso di PROUDHON e di DUCAURROY. Vedi le autorità in AUBRY e RAU, t. II, p. 534 e nota 15. (2) 'DEMOLOMBE, t. X, p. 767, n. 802. DEMANTE, t. II, p. 565, n. 479 bis II. DuRANTON, t. V, p. 56, n. 38. (3) Confronta PROUDHON, t. VI, p. 85, n. 28 24, o DEMOLOMBE, t. X, p. 759, numero 797. 122. Secondo la lettera della legge va decisa anche la que stione se l'usuario debba contribuire ai pesi imposti sulla proprietà finchè dura il suo diritto. L'articolo 635 enumera i pesi che colpiscono l'uso; tale enumerazione non comprende che i pesi ordinarii, quelli che affettano il godimento e che l'art. 608 qualifica carichi annuali. Questa disposizione va intesa in senso restrittivo? non vi si comprendono i pesi di cui all'art. 609? Quando l'usuario raccoglie tutti i frutti del fondo, egli è un vero usufruttuario; non si dovrà da ciò trarre la conseguenza che uguali debbano essere anche i suoi oneri? Ma il testo della legge non dice questo; esso determina i pesi che gravano l'uso: l'enumerazione non avrebbe senso se non fosse restrittiva. D'altronde qualunque disposizione relativa ad oneri, deve, per la sua stessa natura, interpretarsi restrittivamente. Bisognerà quindi concludere che, su questo punto, il codice deroga al principio d'analogia da esso seguito in materia d'uso (1). 123. L'usuario contribuirà al pagamento dei debiti? Anche qui la questione è decisa dal silenzio del codice; l'art. 635 non parla dei debiti, e con ragione. A primo aspetto, si sarebbe tentati di dire con Demolombe che se l'uso è stabilito a titolo universale, l'usuario dev'essere assimilato all'usufruttuario. Ma, come osserva benissimo Duranton, è impossibile che l'uso sia costituito a titolo universale. Invano il testatore direbbe ch'egli lega l'uso di tutti i suoi beni, il legatario sarebbe nondimeno un successore a titolo particolare, non già perchè egli abbia soltanto uno smembramento della proprietà, ma perchè per la natura stessa del suo diritto, il suo titolo è necessariamente un titolo particolare. Infatti, il suo diritto essendo limitato ai suoi bisogni, egli non potrà mai aver diritto ad una universalità, ma solo agli oggetti particolari necessarii alla sua esistenza; è dunque sempre legatario a titolo particolare e, come tale, non contribuisce ai debiti (2). 124. L'articolo 625 dice che i diritti d'uso e di abitazione si estinguono nel modo stesso che l'usufrutto. Vi sono però talune differenze che derivano dalla speciale natura del diritto d'uso. L'usufrutto si estingue necessariamente alla morte dell'usufruttuario; mentre l'uso, come abbiamo detto, può essere stipulato per l'usuario ed i suoi eredi (n. 107). Per la medesima ragione (1) Quest'è l'opinione di TOULLIER, ma essa è rimasta isolata. Vedi DEMOLOMBE t. t. X, p. 760, n. 798. (2) DURANTON, t. V. p. 22, n. 4. In senso contrario, DEMOLOMBE, t. X, p. 758 n. 795. l'uso accordato ad una persona civile può oltrepassare il termine di trent'anni che l'art. 619 stabilisce in materia d'usufrutto; così avviene che siano perpetui i diritti d'uso che i Comuni esercitano nei boschi e nelle foreste. Un'altra differenza vi è ancora fra l'uso e l'usufrutto. I creditori dell'usufruttuario possono domandare la nullità della rinuncia ch'egli avesse fatta in loro pregiudizio (art. 622) ed hanno il diritto d'intervenire quando, il nudo proprietario domanda la decadenza dell'usufruttuario per l'abuso che questi faccia del godimento (art. 618). Tali disposizioni non possono ricevere applicazione in materia d'uso, poichè questo diritto non è la garanzia dei creditori. Così da parecchi autori (1), viene insegnato, ma noi facciamo le nostre riserve sull'ultimo punto. È vero che i creditori non possono esecutare il diritto d'uso, ma possono però oppignorare i frutti; hanno dunque interesse ad impedire la decadenza dell'usuario, e per conseguenza avranno diritto d'intervenire nell'istanza. (1) PROUDHON, t. VI, p. 57, n. 2795; p. 89, n. 2829. DEMOLOMBE, t. X, p. 723, n. 764. 125. Gli articoli 637 e 638 definiscono la servitù in questi termini: «La servitù consiste nel peso imposto sovra un fondo per l'uso e l'utilità di un fondo appartenente ad un altro proprietario ». « La servitù non induce alcun diritto di preminenza di un fondo sopra l'altro ». Egli è perchè il carico è imposto ad un fondo che assume il nome di servitù, denominazione presa per analogia dalle relazioni di dipendenza che assoggettano una persona ad un'altra. Qui è un fondo ch'è soggetto ad un altro nel senso che il proprietario del primo è tenuto a soffrire od a non fare qualche cosa nell'interesse dell'altro fondo. Così quegli il cui fondo è soggetto ad un diritto di passaggio deve sopportare il disturbo di tale passaggio. Perciò la libertà dell'immobile gravato di un simile carico è diminuita; così si esprimono i giureconsulti romani con linguaggio metaforicamente esattissimo (2). La proprietà è un diritto assoluto ed esclusivo; nessuno, all'infuori del padrone, può entrare nel fondo; se dunque un altro che non sia il proprietario ha questa facoltà, il fonde non gode più della integrità del suo diritto, non è più libero; e questa diminuzione di libertà profitta ad un altro fondo, nel (1) LELAURE, Traité des servitudes réelles, 1 vol. in-4.o (Caen, 1876). SOLON, Traité des servitudes réelles, 1 vol. in-8.o (Paris 1837). PARDESSUS, Traité des servitudes, 8. edizione, 2 vol. in-8.° (Paris 1838). Sul diritto romano, ELVERS, Römische Servitutenlehre, 1 vol. in-8 (Marburg 1856). (2) L. 90, D., De verb. sign., (L. 16). Confronta DOMAT, Lois civiles, lib. I, tit. XII, sez. I, art. 2. cui interesse è stata stipulata; dunque un fondo serve ad un altro fondo: donde il nome di servitù. Il titolo aggiunge « o servizii prediali ». Questa espressione trovasi già nell'articolo 562 (1), il primo che faccia menzione delle servitù. La parola servitù è così odiosa, che facilmente comprendesi come i legislatori d'un popolo libero abbiano provata qualche ripugnanza a servirsene. Ma è più semplice di quella di servizii prediali, è consacrata dall'uso, e bentosto non si potrà più confonderla con la schiavitù delle persone, giacchè i discendenti nostri, assai più fortunati dei loro padri, non conosceranno la schiavitù che dalla storia delle miserie umane. 126. I giureconsulti romani, che vivevano in mezzo agli schiavi, non si preoccuparono di stabilire la differenza che distingue la servitù del diritto civile dalla schiavitù consacrata dal diritto delle genti nell'antichità. Essi si contentano di notare che la servitù non impone alcun obbligo al proprietario del fondo che la deve; egli non è tenuto a fare, essi dicono, ma a soffrire od a non fare (2). Domat aggiunge però che il proprietario del fondo serviente può essere tenuto anche a fare. Anche il codice ammette che il titolo costitutivo d'una servitù possa imporre al proprietario del fondo serviente le spese delle opere che sono necessarie per usarne (art. 698). Ciò non è contrario alla teoria romana; poichè, come diremo in appresso, anche quando il proprietario del fondo serviente deve fare taluni lavori, non vi è tenuto per un vincolo di obbligazione. Il legislatore francese si è mostrato più geloso della libertà, anche quando parla il linguaggio della servitù; egli ha cura di proibire alle parti interessate di imporre dei servizii alla persona, od in favore della persona, egli non permette di costituire servitù che sovra un fondo ed a favore di un fondo (art. 686). Ciò non vuol dire che l'uomo non possa essere tenuto ad un servigio personale verso un altro uomo; il codice civile consacra la locazione d'opera, ma l'organizza in modo che non attenti minimamente alla libertà; perciò stabilisce il principio che non si possono obbligare i propri servigi che a tempo art. (1780), mentre le servitù sono perpetue per loro natura. Se dunque il venditore stipulasse che il compratore fosse tenuto a talune prestazioni, quest'onere non sarebbe una servitù, ancorchè imposto per procurare qualche utilità ad un fondo; sarebbe una semplice locazione di servigi (3). Gli autori del codice civile hanno spinto più oltre l'amore per la libertà che la nazione aveva conquistata nell'immortale rivoluzione dell'89. Quantunque da lungo tempo la schiavitù ed anche il servaggio personale fossero scomparsi dalla Francia, il feudalismo aveva lasciate tracce profonde nel diritto privato. |