proprietario e conchiude che non si può opporre a quest'ultimo una disposizizione che è stata introdotta soltanto in suo favore (1). Ma ciò è assai dubbio. Abbiamo già detto che è molto difficile di precisare i veri motivi dell'articolo 631; bisogna adunque lasciar da parte lo spirito per attenersi al testo della legge; ora, l'articolo 631 è assoluto, e lo è ancor più l'articolo 634, il quale prescrive che « il diritto di abitazione non può essere ceduto nè locato » (2). Un'altra conseguenza deriva dal principio stabilito negli articoli 631 e 634, cioè che il diritto d'uso non può essere ipotecato. La garanzia del creditore ipotecario consiste nel diritto ch'egli ha di far vendere la cosa ipotecata, per essere pagato a preferenza degli altri creditori. Non si può dunque concepire ipoteca sopra una cosa che non può essere venduta (3). 115. Potrà il titolo costitutivo dell'uso derogare a questi principii? Vi è qualche dubbio. Si potrebbe dire che il diritto d'uso, così com'è formulato dal codice, è inerente alla persona dell'usuario, per conseguenza la natura del diritto si oppone a che venga trasmesso. Tuttavia trova maggiore accoglimento, in generale, l'opinione contraria che noi crediamo sia meglio fondata. A dir vero, l'uso non è più personale che l'usufrutto; quantunque sia limitato ai bisogni dell'usuario, si concepisce che il titolo dia all'usuario il diritto di vendere. Se il costituente non ha altri beni che dei vigneti e concede all'usuario il diritto d'uso sopra uno di questi, non è forse razionale che gli permetta di vendere il suo diritto onde meglio l'utilizzi pei suoi bisogni? La vendita gli darà un reddito sicuro, mentre è assai incerto il prodotto del vigneto. Se si ammette che il diritto d'uso possa essere dichiarato trasmissibile la conseguenza sarà che il diritto potrà essere sequestrato ed ipotecato (4). A nostro parere, l'articolo 628 decide la questione; esso permette alle parti interessate di stipulare il diritto d'uso, con quella estensione che meglio lor piace, e non è che nel silenzio del titolo che debbonsi applicare le disposizioni del codice che regolano i diritti dell'usuario (art 629). Dunque l'articolo 631, che proibisce di cedere il diritto di uso non è che una disposizione fondata sull'intenzione presunta delle parti contraenti, il che prova che esse vi possono derogare. Si dovrà ammettere un'altra eccezione pel caso che l'usuario percepisca tutti i frutti del fondo? Si potrebbe dire che in questa ipotesi l'uso è un vero usufrutto, e che l'usuario deve avere i medesimi diritti dell'usufruttuario. Ma la ragione di decidere sta (1) Aix 4 febbraio 1853 (DALLOZ, 1854, 5, 696). (2) DEMOLOMBE, t. X, p. 750, n. 789. (3) DURANTON, t. V, p. 33, n. 23. (4) Vedi le diverse opinioni in DEMOLOMBE, t. X, p. 727, n. 763. nelle disposizioni assolute degli articoli 631 e 634. D'altronde come dice benissimo Demolombe, i diritti dell'usuario sono sempre subordinati ai suoi bisogni; sono dunque sempre variabili; oggi egli percepisce tutti i suoi frutti, domani potrà aver diritto soltanto ad una porzione di essi (1). 116. Si domanda se l'usuario può liberamente disporre dei frutti che egli percepisce nel limite del suo diritto, ovvero se è obbligato a consumarli sopra luogo. Noi non comprendiamo come sia insorto un dubbio su questo punto. I diritti dell'usuario sono quelli dell'usufruttuario, salvo l'estensione; egli dunque fa suoi i frutti col percepirli. Ogni proprietario può disporre di ciò che gli appartiene, a meno che la legge non ponga i beni fuori commercio. Ora gli articoli 631 e 634 ben dicono che il diritto d'uso non può esser ceduto, ma non affermano già che l'usuario non possa disporre dei frutti come meglio crede. D'altronde sarebbe contrario alla ragione il vincolare a tal segno la libertà dell'usuario. Si vuole assicurare la sua sussistenza vietandogli di disporre dei frutti. Guardiamoci che a forza di voler garentire la sua sussistenza non la si comprometta. L'usuario ha il diritto di prendere in una foresta le legna che gli sono necessarie; se l'inverno è poco rigido, e l'usuario abbia altri bisogni pressanti, gli si proibirà forse di vendere quella che gli sopravvanza? Per la vendita volontaria, la questione non ci sembra dubbia (2). Ma che dire della vendita forzata? Se l'usuario può vendere i frutti, i suoi creditori possono altresì sequestrarli. Quando l'uso è costituito a titolo oneroso, è impossibile di ricusare ai creditori il diritto di sequestrare i frutti: è questo il diritto comune, ed occorrerebbe una disposizione espressa perchè i frutti non fossero sequestrabili. Ma gli autori sono concordi nell'insegnare che nel caso della donazione o del legato d'uso, i creditori non possono procedere esecutivamente sui frutti (3). Essi invocano l'articolo 581, n. 4, del codice di procedura, il quale dichiara insequestrabili le somme e pensioni per alimenti, ancorchè tali non siano dichiarate dal testamento o dall'atto di donazione. Ciò ne sembra assai dubbio. L'articolo 581 parla dei crediti alimentari; ora il diritto d'uso non è un credito, ma un diritto reale. Bisognerebbe che il testatore o il donante avessero dichiarato che l'uso è dato a titolo di alimenti perchè l'articolo 581 fosse applicabile. Senza questa dichiarazione, i frutt percepiti dall'usuario rimangono sotto l'impero del diritto co (1) DEMOLOMBE, t. X, p. 747, n. 787 e le autorità in senso diverso che egli cita (2) Questa è l'opinione generale (AUBRY e RAU, t. II, p. 533, nota 11), salvo i dissenso di DURANTON (t. V, p. 36, n. 25). (3) DEMANTE, t. II. p. 564, n. 477 bis. DEMOLOMBE, t. X, p. 752, n. 790. AUBI: RAU, t. II, p. 533. mune. Infatti, quantunque l'uso sia ordinariamente donato o le gato in luogo degli alimenti, non vi è legge che l'assimili ad una pensione alimentare; ora, il divieto del sequestro è un'eccezione ai diritti del creditore; e devesi quindi interpretare ristrettivamente. 117. Gli art. 631 e 633 dicono che l'usuario non può dare in locazione il suo diritto. Come dovrà essere inteso questo divieto? E certo che il diritto per sè stesso non può essere locato. Ma la proibizione di locare il diritto importa altresì quella di dare in affitto i beni gravati dall'uso? Questa è l'opinione generale degli autori i quali però fanno eccezione per l'uso di un fondo, nel caso in cui l'usuario fosse nell'impossibilità di coltivarlo egli medesimo, ad esempio per causa d'infermità o di vecchiaia (1). La distinzione è troppo arbitraria. Se realmente esiste il diniego assoluto di dare in locazione, non vediamo con qual diritto gli interpreti vi apporterebbero una eccezione. Ma gli articoli 631 e 633 sono davvero assoluti come si dice? La legge prescrive che il diritto non può essere locato nè ceduto; ciò significa che l'usuario non può essere sostituito da una terza persona che eserciti il diritto d'uso in sua vece, sia come compratore, sia come conduttore. In altri termini, il diritto è intrasmissibile, a qualunque titolo sia. Diversa è la questione di sapere se una delle cose gravate dal diritto d'uso possa essere data in affitto. Il testo non lo proibisce; in questo caso, non vi è trasmissione del diritto dell'usuario; solamente non potendo o non volendo coltivare egli medesimo i fondi, li dà in affitto; i frutti naturali sono surrogati dai frutti civili, il che è molto più vantaggioso, poichè il diritto ai frutti naturali è un rischio che può verificarsi contro l'usuario, mentre egli invece acquista i frutti civili giorno per giorno, ha un reddito costante sul quale può regolare le proprie spese I motivi per cui la legge gli proibisce di locare o di cedere il suo diritto non ricevono applicazione alla locazione der tondi gravati dall'uso. Se egli consuma tutti i frutti, la cosa non presenta difficoltà: avviene una semplice trasformazione dei frutti naturali in frutti civili. Se non percepisce che una parte dei frutti, riscuoterà una quota proporzionale dei fitti. Per meglio dire, in questo caso, vi sarà una divisione regolata dalle parti o dal magistrato; ciascuno disporrà a suo talento della porzione di godimento che gli spetta. Noi prevediamo l'obbiezione: si dirà che è una mera sottigliezza distinguere tra la locazione del diritto d'uso e la locazione dei fondi gravati da questo diritto. Ma che importa che la distinzione sia sottile, quando sia, come è infatti, perfettamente giuridica? L'affittuario del diritto d'uso sarebbe un rappresentante dell'usuario: ciò che darebbe luogo alle difficoltà ed agl'imbarazzi avvertiti da Domat. Ma l'af (1) PROUDHON, t. VI, p. 27 e 28, n. 2766. fittuario di un fondo sottoposto al diritto d'uso nulla ha che fare col diritto dell'usuario; egli paga il suo fitto integralmente all'usuario, ovvero all'usuario ed al nudo proprietario in proporzione del loro godimento, quando questo è diviso. 118. L'art. 626 assoggetta l'usuario alle obbligazioni imposte all'usufruttuario prima che entri in godimento: egli deve prestar cauzione, formare l'inventario dei mobili e la descrizione dello stato degli immobili. Secondo la lettera della legge, l'usuario che non prestasse cauzione preventiva non potrebbe godere; mentre l'art. 604 dice invece che il ritardo nel prestar cauzione non priva l'usufruttuario dei frutti cui può aver diritto. Ma questa interpretazione sarebbe certamente contraria all'intenzione del legislatore: se l'usufruttuario fa suoi i frutti anche quando sta in cerca della cauzione, a maggior ragione si dirà ciò dell'usuario che povero e senza risorse, troverà assai più difficilmente chi presti la necessaria garanzia. Il testo medesimo si concilia con questa interpretazione favorevole, poichè dice che l'usuario deve prestar cauzione, come nel caso dell'usufrutto; la legge assimila dunque completamente l'usuario all'usufruttuario, il che rende applicabile a lui l'art. 604. Nell'opinione generale, l'usuario non possiede sempre; se riceve i frutti dal proprietario, allora le obbligazioni di fare l'inventario, di redigere gli stati e di prestar cauzione non hanno più ragione di essere. Tutti sono d'accordo su questo punto (1). 119. A termini dell'art. 627, l'usuario e chi ha un diritto di abitazione debbono godere da buoni padri di famiglia. Ogni buon padre di famiglia migliora i fondi di cui gode. Da ciò l'art. 599 trae la conseguenza che l'usufruttuario non ha diritto ad alcuna indennità per le migliorie che avesse fatte. Si applicherà questa disposizione anche all'usuario? Nell'opinione che abbiamo insegnata sul significato della parola migliorie, non vi è punto dubbio; non si tratta di costruzioni, ma di abbellimenti delle case o di bonifica dei terreni soggetti all'usufrutto (2). Le stesse ragioni che hanno fatto ricusare all'usufruttuario una ricompensa per questo genere di migliorie esistono anche per l'usuario; si può dunque invocare l'adagio che dove uguali sono i motivi di decidere, uguale deve anche essere la decisione. Vi è d'altronde analogia completa tra l'usufrutto e l'uso: i medesimi diritti, eccetto l'estensione, e le identiche obbligazioni. La (1) AUBRY e RAU, t. II, p. 532, nota 3. differenza che noi abbiamo menzionata, relativa all'estensione dei due diritti, avrebbe potuto indurre il legislatore a derogare al rigore dei principii a favore dell'usuario, ma siccome egli non l'ha fatto, non rimane all'interprete che di attenersi strettamente alla legge. Noi decideremmo così, anche nell'opinione rigorosa che ricusa all'usufruttuario qualsiasi indennità per le costruzioni: il motivo di analogia è potentissimo e non è in facoltà dell'interprete di creare eccezioni di sorta (1). 120. Per ciò che si riferisce agli oneri propriamente detti. l'art. 635 prescrive: «Se l'usuario raccoglie tutti i frutti del fondo od occupa tutta la casa, soggiace alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie ed al pagamento dei tributi, come l'usufruttuario. Se non percepisce che una parte dei frutti, o non occupa che una parte della casa, contribuisce in proporzione di ciò che gode. » Quale è il valore di quest'ultima disposizione? La difficoltà sta nel sapere se i frutti cui l'usuario ha diritto vanno prelevati sul prodotto lordo o sul prodotto netto. Nella nostra opinione non v'è alcun dubbio. Se l'usuario possiede e coltiva egli stesso, s'intende da sè che per questo godimento diviso egli deve sopportare i medesimi oneri proporzionali che sopporterebbe se godesse tutto il fondo; se gode la terza parte del fondo, sopporterà il terzo dei pesi. Quindi dev'essere lo stesso se riceve i frutti dalle mani del proprietario. Il fondo produce 90 misure di biada, l'usuario ha diritto al terzo ; il proprietario gli dà 30 misure; è su queste 30 misure che l'usuario prenderà ciò che occorre per soddisfare il terzo dei pesi. Si obbietta che procedendo in tal modo non rimarranno all'usuario le 30 misure che gli sono necessarie, il che sembra contrario all'articolo 630, a termini del quale egli può richiedere quanti frutti gli occorrano per i suoi bisogni; noi abbiamo supposto che gliene occorrano 30, se sopra questi 30 ne deve prelevare 5 per soddisfare i suoi pesi, non avrà più il numero di misure che la legge ha voluto concedergli. L'obbiezione parte dal presupposto che l'uso non sia diverso dal credito alimentare, cioè che il prodotto del diritto debba essere calcolato in modo che basti sempre al bisogno dell'usuario; donde seguirebbe che se tutti i frutti non bastano, il proprietario dovrebbe supplire ciò che manca. La risposta è semplicissima: in nessuna parte della legge è detto che l'uso tien luogo d'alimenti. Esso è invece un usufrutto limitato ai bisogni dell'usuario. Ora, l'usufruttuario percepisce i frutti, e su questi soddisfa i pesi che li gravano. Lo stesso dev'essere dell'usuario. L'art. 630 non dice ciò che gli si vorrebbe far dire: esso determina i diritti dell'usuario, ed è subito seguito dall'art. 635 che regola i pesi i quali naturalmente (1) DEMOLOMBE, t. X p. 769, n. 807. In senso contrario,PROUDHON, t. VI p. 45, n. 2789. |